La nuova “esterovestizione”: riflessi operativi sui processi di internazionalizzazione

News

Il seguente contributo si occuperà di fornire un breve riepilogo della recente evoluzione delle disposizioni contenute nel Tuir in merito alla identificazione della residenza fiscale delle società e degli aspetti di maggior rilievo da considerare nell’ambito dei processi di internazionalizzazione di impresa e di mantenimento di strutture estere. Ecco dunque che, dopo una prima sezione in cui si riprenderanno i tratti caratterizzanti la c.d. “esterovestizione” prima e dopo la riforma dell’articolo 73, Tuir in vigore a partire in sostanza dal 1° gennaio 2024, l’articolo si soffermerà sulle indicazioni contenute in recenti pronunce delle Corte di Cassazione sullo specifico tema in oggetto. Successivamente, sarà approfondito un caso concreto, ovvero quello di una società estera neo-costituita caratterizzata da un “stretto nesso” con la propria casa-madre italiana. Da ultimo, si condivideranno alcune considerazioni finali di chiusura, in particolare fornendo breve sintesi dei fattori rivelatori della sede della attività economica.

Residenza fiscale delle società: il contesto normativo nazionale e sovranazionale di riferimento

La possibilità per un’impresa di poter espandere il proprio business, creando filiali in quegli Stati che possono essere funzionali allo sviluppo di un’idea imprenditoriale, può rivelarsi di fondamentale importanza; in senso opposto, normative che ostacolino tale espansione potrebbero comportare il soffocamento di tali idee imprenditoriali, e dunque una perdita di possibile crescita del business.
L’Unione Europea, non a caso, annovera la libertà di stabilimento come uno dei principi cardine sui quali ha fondato il proprio assetto normativo: gli articoli dal 49 al 55, Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (Tfue) riconoscono e tutelano tale libertà, andandola a bilanciare con tutti gli altri interessi che entrano in gioco. 

Citando l’articolo 49, Tfue:

“Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all'apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro. La libertà di stabilimento importa l'accesso alle attività autonome e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società”.

La libertà di stabilimento, però, irrimediabilmente si scontra con problematiche di natura impositiva e fiscale.
Secondo i principi del diritto internazionale, uno Stato è legittimato a esplicare il proprio potere impositivo su un soggetto (sia esso persona fisica o giuridica) solo se presente un collegamento sufficiente e ragionevole con il suo territorio. È il principio che si ritrae dal criterio del “genuine and reasonable link”, elaborato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia internazionale a partire dalla sentenza Nottebohm del 6 aprile 1955.

Per quanto concerne l’Italia, l’articolo 10, Costituzione impone all’ordinamento giuridico di conformarsi alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, tra le quali è annoverabile quella secondo la quale uno Stato è legittimato a tassare uno straniero solo se presente un collegamento sufficiente e ragionevole con il suo territorio.
In questo contesto sovranazionale e domestico si innestano le disposizioni di cui all’articolo 73 “Soggetti passivi” del D.P.R. 917/1986 (anche “Tuir”) le quali – prendendo in esame l’individuazione della residenza delle società – affrontano la fattispecie della c.d. “esterovestizione”: in breve, con tale termine si intende - riprendendo le parole della Corte di Cassazione - “la fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società all'estero, in particolare in un Paese con un trattamento fiscale più vantaggioso di quello nazionale, allo scopo, ovviamente, di sottrarsi al più gravoso regime nazionale.” La veste formalmente estera, in altri termini, cela in realtà un soggetto sostanzialmente italiano e, dunque, da assoggettare a tassazione.
La fattispecie della esterovestizione non deve essere confusa con quella, pur connessa, della stabile organizzazione, con la quale si intende (articolo 5, Modello di Convenzione contro le doppie imposizioni redatto dall’Ocse) una sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività nel territorio dello Stato.

 

Per leggere l'articolo completo, scarica il documento allegato

Il rispetto della Vostra privacy è la nostra priorità

Utilizziamo i cookie per assicurarVi la migliore esperienza nel nostro sito. Accettate e continuate per prestare il consenso all’uso di tutti i cookie. Per saperne di più o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi cliccare qui. Potrai consultare le nostre Privacy Policy e Cookie Policy aggiornate in qualsiasi momento.