Cessione infragruppo di beni e introduzione di una royalty sul marchio: impatti fiscali e aspetti operativi

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Nel presente contributo dedicato alla internazionalizzazione di impresa sarà preso in considerazione il caso di 2 società (una residente in Italia e l’altra negli Stati Uniti) appartenenti al medesimo gruppo multinazionale, per analizzare le principali conseguenze di natura fiscale e operativa derivanti dalla possibile introduzione di un canone per la concessione in uso del marchio di gruppo dalla controllante italiana alla controllata statunitense.

Poiché tra le 2 società è già esistente un rapporto di fornitura di beni destinati alla commercializzazione sul mercato Usa, la possibile introduzione di una royalty sul marchio sarà l’occasione per affrontare prima gli aspetti di fiscalità internazionale connessi ai relativi prezzi di trasferimento, per poi passare in rassegna gli aspetti rilevanti quanto alla determinazione del valore in dogana per l’importazione delle merci nel Paese di destinazione.

Ne emerge la necessità di non limitare la visione a una analisi degli aspetti di natura fiscale (diretta e indiretta) per quanto estesa su 2 Paesi, bensì di includere anche considerazioni di ordine strategico che siano in grado di ponderare, in modo adeguato e costruttivo, altresì aspetti connessi alla evoluzione del business e all’andamento del mercato, al posizionamento dei prodotti rispetto alla concorrenza e agli impatti di natura finanziaria.

Introduzione: La cessione di beni infragruppo extra UE: tra transfer pricing e valore in dogana

La cessione di beni extra UE a imprese controllate non residenti nei territori dell’Unione Europea è un’operazione che corre su un doppio binario: il transfer pricing e il valore in dogana. Il transfer pricing è utilizzato per testare la congruità dei prezzi applicati, onde evitare fenomeni elusivi in special modo a favore di Paesi a fiscalità privilegiata dove spostare “materia” imponibile. In termini di imposizione diretta, da un lato, costi troppo elevati riducono la base imponibile mentre dall’altro ricavi troppo esigui eludono il corretto prelievo fiscale nei confronti delle società.

Il valore in dogana viene utilizzato per applicare il dazio doganale corretto alla merce importata: dal punto di vista della imposizione c.d. indiretta, a valori inferiori, corrispondono dazi in misura minore da corrispondere alle competenti Autorità. Si può notare, quindi, come la stessa operazione conduca al contempo a effetti sia ai fini delle imposte dirette sia ai fini delle imposte indirette. Tuttavia, è importante sottolineare sin da queste prime battute come le pretese dell’ufficio imposte dirette e quelle delle Autorità doganali siano non solo diverse, bensì del tutto divergenti: i prezzi di trasferimento (transfer pricing) vengono attentamente scrutinati per accertare che essi non rispondano a politiche di bilancio volte a spostare in modo artificioso base imponibile ai fini delle imposte sul reddito delle società verso giurisdizioni fiscali dove l’imposizione è più mite; ciò può avvenire – in dipendenza della direzione del flusso della transazione – attraverso scelte volte all’applicazione di prezzi per cessioni di beni o prestazioni di servizi di valore inferiore a quello di mercato (c.d. sottofatturazione), oppure tramite l’adozione di TP policies che hanno l’effetto di portare all’applicazione di prezzi che risultano in ultima istanza superiori a quelli di mercato (c.d., sovrafatturazione).

D’altro canto, le Autorità doganali (persino all’interno della medesima Amministrazione finanziaria) sono interessate a individuare fenomeni di sottovalutazione del valore attribuito alla merce in entrata che metterebbe l’importatore nella condizione di versare un dazio in misura non sufficiente.
Ne consegue la necessità per i gruppi multinazionali di una accurata analisi dei prezzi di trasferimento (delle merci) allo scopo di mantenere – per così dire – in equilibrio le istanze immediatamente connesse alle imposte sul reddito e le conseguenze in termini di imposizione indiretta, specialmente ai fini doganali.

Infatti, la mancanza di una visione complessiva e integrata di tali 2 ambiti caratterizzanti la medesima transazione condurrebbe a una pianificazione dei flussi a dir poco carente se non addirittura in grado di minare la stessa tenuta economica e finanziaria dello scambio, andando così a compromettere una strategia operativa di ben più ampio respiro per l’azienda.

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